Gestione dell’emergenza Covid: confronto tra Italia e altri paesi

Francesco Santoianni
Gestione dell’emergenza Covid: confronto tra Italia e altri paesi

Atti del Convegno:  PANDEMONÌA C’è vita sulla Terra oltre il green pass
Napoli – Santa Fede Liberata – 6-9 febbraio 2022

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Quasi tutti i governi impegnati in questa gestione dell’emergenza Covid pretendono di legittimare le loro imposizioni dichiarando che è così che si fa in tutto il mondo. In realtà, questa omologazione dei governi alle misure intraprese dapprima dalla Cina e poi dall’Italia è nata, come si vedrà, non per considerazioni sanitarie bensì per finalità meramente politiche e cioè irregimentare la popolazione, sbaragliare le opposizioni, garantire i più lauti affari ai loro sponsor.
Molti obiettano a questa considerazione facendo notare che sarebbe inverosimile – in un paese, più o meno, democratico come il nostro, e in tanti altri paesi occidentali – sacrificare e ridurre in miseria innumerevoli persone pur di conseguire gli scopi sopra esposti. In realtà sono stati proprio questi scopi le finalità nascoste di moltissime guerre, spesso cominciate pensando fossero profittevoli scaramucce, che quando il giorno della Vittoria appare sempre più lontano, non possono essere revocate, chiedendo scusa ai familiari dei caduti, senza scatenare una rivolta popolare. È proprio questo il motivo che spiega perché questa vessatoria gestione dell’emergenza Covid, che già si protrae da due anni, secondo le intenzioni dei suoi promotori, è destinata a durare a lungo.
Ma come è nato l‘allarme Covid? Secondo la narrativa ufficiale (pienamente accettata dagli “esperti”) sarebbe nato in Cina dove, nell’ottobre 2019, fu identificato un virus molto contagioso con un tasso di letalità inferiore a quello della Sars1 del 2003 (per il quale non ci fu nessun allarmismo). Per il Sars-Cov-2, invece, l’11 gennaio 2020 (e cioè ben quattro mesi dopo i primi decessi) è stato imposto un ferreo lockdown nel Wuhan-Hubei mentre nel resto del paese venivano applicate blande misure profilattiche. Nonostante la tardiva applicazione della quarantena nel Wuhan-Hubei, quindi, in Cina, popolata da 1,4 miliardi di persone, ci sarebbero stati appena 4.000 decessi per Covid in due anni. La spiegazione della gestione cinese dell’emergenza Covid è, in realtà, ben diversa e trova le sue radici nell’esigenza di rispondere all’accerchiamento, alle sanzioni e alle sempre più smaccate provocazioni imposte dall’Occidente.
Su questa dinamica, per motivi di spazio, non è possibile qui soffermarci, rimandando, quindi, alla bibliografia; qualcosa, invece, può essere detto sul “caso italiano” che ha costituito il canovaccio della gestione dell’emergenza Covid in moltissimi Paesi.

Il caso italiano
Com’è ormai noto, il Sars Cov-2, un virus estremamente contagioso (anche perché risulta asintomatico nel 90% dei casi) e pericoloso, quasi esclusivamente, per le persone anziane, è presente nel nostro paese almeno dall’estate del 2019 ed è da addebitare a questo virus l’epidemia di gravi casi di “polmonite” e “influenza” che si è manifestata nel novembre-dicembre 2019. Se questa epidemia non ha provocato una ecatombe, questo lo si deve ad una ovvia spiegazione: i pazienti, allora, venivano curati nel loro domicilio. Tutt’altro qualche mese dopo.
Nei primi mesi del 2020, il governo italiano (forse affidandosi alle dichiarazioni di un, ancora oggi, autorevole virologo, che assicurava essere zero il rischio Covid per il nostro Paese), non predisponeva praticamente nulla per affrontare una epidemia, neanche la fornitura di dispositivi di bio-protezione al personale sanitario. Ancora peggio, patrocinava iniziative come #milanononsiferma (che invitava i cittadini a godersi la vita affollando bar, strade e negozi) o inneggiava al presidente della Repubblica che andava ad abbracciare scolari appena tornati dalle vacanze in Cina, che, senza nessun controllo, rientravano in classe. Il tutto condito da irresponsabili dichiarazioni sulla efficienza del nostro Sistema sanitario che avrebbe certamente retto ad una, comunque improbabile, emergenza sanitaria. Nulla veniva detto sui tagli che avevano ridotto al lumicino la Sanità in Italia e che – anche per lo scioglimento del Centro nazionale di epidemiologia e sorveglianza dell’Istituto superiore di sanità– non esisteva nessun reale Piano per affrontare una epidemia.
Alla fine di febbraio, i primi tamponi positivi e i primi “morti per Covid” facevano crollare come un castello di carte l’ottimismo generale. E con notizie sempre più allarmanti che cominciavano a diffondere i media, il governo si rese conto che, invece di continuare a rassicurare, doveva fare “qualcosa”. Si passò, quindi, ad istituire “zone rosse” dove, accertata la presenza di “positivi”, tutti venivano chiusi a casa; “zone rosse” che divennero oggetto di mercanteggiamento tra Governo, regioni e Confindustria che non si mettevano d’accordo su quale fosse la percentuale di “positivi” oltre la quale doveva scattare la quarantena; “zone rosse” che istituzionalizzarono la credenza secondo la quale l’unica soluzione all’emergenza Covid dovesse essere l’isolamento forzato del contagiato, pur asintomatico. E questo nonostante numerose ricerche attestanti che i contagiati dal virus Sars-Cov-2 in Italia erano già decine di milioni.

Il modello italiano fa scuola
Ben altro veniva fatto in altri paesi. In Germania, ad esempio, Angela Merkel, il 7 marzo 2020, annunciava che il virus Sars-Cov-2 avrebbe contagiato in poche settimane il 70 per cento della popolazione tedesca. E, attivando le misure previste dal Piano di emergenza (l’uso della mascherina e la sospensione di affollati eventi, per rallentare l’avanzata del contagio e ridurre così l’altezza di un picco epidemico che, altrimenti, avrebbe potuto far collassare le strutture ospedaliere), rassicurava, giustamente, i suoi concittadini spiegando che il Sars-Cov-2 era generalmente asintomatico e pericoloso sostanzialmente per gli anziani. Stessa cosa succedeva in Israele o in Gran Bretagna dove il ministro Naftali Bennett e Boris Johnson annunciavano quella che sarebbe stata la strategia dei rispettivi governi: far dilagare il contagio per ottenere una immunità di gregge e proteggere le categorie a rischio. Più in generale, le misure del governo italiano, che, scimmiottavano quelle prese in Cina, furono, nel marzo 2020, oggetto, addirittura, di derisione da parte di molti governi e dei loro giornali. Cambiarono idea quando si accorsero che il “modello italiano” e la conseguente dilagante ipocondria riusciva a irregimentare la gente, sbaragliare le opposizioni e garantire un inedito potere al Governo.
Il 9 marzo 2020, il presidente del Consiglio – contro il parere del Comitato tecnico scientifico, nella insensata pretesa di bloccare il contagio – imponeva, per 69 giorni, a tutti gli italiani di chiudersi in casa. E per convincerli ad accettare il lockdown, il Governo ricorreva – oltre ad una terroristica informazione – ad un fraudolento espediente: considerare contagiati SOLO coloro che risultavano positivi ai pochi tamponi disseminati qua e là dalle Regioni e considerare come “morti per Covid” TUTTI coloro che, prima o dopo la morte (spesso avvenuta per gravi patologie pregresse o per l’età), risultavano positivi al tampone. Con questo raggiro il tasso di letalità (morti su contagiati) del Sars-Cov-2 risultò elevatissimo (12%) azzerando (anche grazie ad una Circolare del ministero della Salute che prevedeva consulti via telefono) visite mediche al domicilio di persone, positive al tampone, che mostravano qualche sintomo sospetto; persone le quali, quando i sintomi si aggravavano, venivano spedite in sempre più affollati ospedali (dove “normalmente” si registrano ogni anno decine di migliaia di morti per infezioni ospedaliere) dove venivano “curate” con terapie sbagliate quali l’intubazione (anche per una insensata circolare del ministero della Salute che, sconsigliando le autopsie, impediva di scoprire che il Covid uccideva per la creazione di trombi).
La “prima fase dell’epidemia”, quindi, faceva registrare ufficialmente “35.000 morti per Covid”. E chiunque metteva in discussione questa cifra o, più in generale, la gestione dell’emergenza veniva additato da “esperti” e mass media come “negazionista”. Si riuscì così a inculcare all’opinione pubblica la credenza (che dura ancora oggi) secondo la quale l’unica salvezza da questo abominevole virus consisteva nello scovare e isolare il contagiato e nell’arrivo di vaccini in fase di sperimentazione. Ma visto che la farmacopea dell’Unione europea, degli USA e di molte altre nazioni vieta l’utilizzo di vaccini sperimentali in presenza di efficaci cure, l’esistenza di queste venne ufficialmente negata e i pochi medici che, sfidando il terrore, avevano curato a domicilio i loro pazienti, strappandoli dalla morte, finirono per essere etichettati come “no vax” o, addirittura, “negazionisti”. Alcuni di questi, oggi, stanno rischiando la radiazione dall’Ordine.

Procrastinare l’emergenza
Nella primavera 2020, con la fine dell’epidemia, si pose per il Governo l’esigenza di procrastinare l’emergenza, sia per ottenere i finanziamenti, a strozzo, del Recovery Fund (che condanneranno molte nazioni alla sorte della Grecia) sia per perpetuare un generale – e assolutamente inedito – asservimento psicologico e, quindi, politico. Una circolare del ministero della Salute, quindi, permise di identificare la positività al virus basandosi, non più su tre, ma su un singolo gene target di SARS-CoV-2; questo, unito alla indeterminatezza dei cicli di amplificazione ai quali dovevano essere sottoposti i tamponi, permetteva di identificare come “positivi” innumerevoli persone non infettate dal virus. Nacque così la “Fase Due”, caratterizzata dalla disseminazione di un numero elevatissimo di tamponi e, soprattutto, dall’affidamento del comando dell’emergenza ai governatori delle regioni.
Esemplare quello che si è verificato in Campania (che registra, nell’area napoletana, la densità di popolazione più alta d’Italia) dove i tamponi disseminati durante la Fase Uno erano stati pochissimi, alimentando la credenza di una Campania che, a differenza della Lombardia (dove i tamponi nella fase Uno erano stati moltissimi) era stata miracolosamente risparmiata dall’epidemia. Da maggio in poi, invece, il numero dei tamponi disseminati in Campania (dei quali non veniva reso noto a quanti cicli di amplificazione erano stati sottoposti e, quindi, la loro affidabilità) aumentò a dismisura trovando quasi tutti “negativi”. Contemporaneamente si scatenava una forsennata caccia ai “focolai di Covid” (il più famoso, quello di Mondragone) per i quali l’imposizione di una ferrea quarantena ai soli “contagiati” fu salutata entusiasticamente da una popolazione che si riteneva scampata al virus; entusiasmo tradottosi nella trionfale rielezione del governatore della Campania.
Nella primavera 2020, la diffusione dell’infezione aveva conosciuto una stabilizzazione diventando il virus Sars-Cov-2 endemico nella popolazione italiana. Questo avrebbe richiesto una indagine finalizzata ad accertare l’immunità cellulare (molto più duratura di quella umorale) nella popolazione. Fatta fallire l’Indagine sierologica nazionale, nulla è stato fatto per accertare questo fondamentale dato che avrebbe permesso di calibrare la gestione dell’emergenza. In compenso i tamponi (per i quali sono stati spesi 2,8 miliardi di euro) sono diventati gli artefici di periodiche campagne allarmistiche come la “nuova ondata” dell’ottobre 2020 (alimentata dai tanti positivi morti per influenza e per patologie che il collasso della medicina territoriale e delle strutture ospedaliere aveva impedito di curare) servita a convincere gli italiani a promuovere vaccini sperimentali; o la “quarta ondata” dell’autunno 2021 servita a spianare la strada alla vaccinazione per i bambini.

Il nemico in casa
Ovviamente, la pretesa di ottenere una “immunità di gregge” imponendo a tutti vaccini che non impediscono al vaccinato di reinfettarsi e infettare si è rivelata un fallimento (oggi i morti giornalieri per Covid sono più numerosi di un anno fa, quando i vaccinati non c’erano); e così pure gli arresti domiciliari per chiunque, pur sanissimo, viene trovato positivo al tampone. C’è, quindi, l’esigenza da parte dei governi di dirottare la crescente rabbia popolare sul capro espiatorio di turno; in questo caso i “no vax” additati come untori e colpiti, tramite il green pass, da limitazioni sempre più gravi. Corollario di questa criminale strategia è ribadire la giustezza di tutte le follie che sono state realizzate in questi due anni, prima tra tutte la negazione dell’esistenza di efficaci cure. A tal riguardo illuminante è il caso del Giappone: (125,8 milioni di abitanti, una anzianità e densità della popolazione tra le più alte del mondo che, pur avendo una percentuale bassa di vaccinati, grazie alla tempestiva cura del Covid, utilizzando sin dai primordi, un vecchio antivirale, l’Avigan, ha finora registrato 18.000 “morti per Covid” (contro i 144.000 dell’Italia, 58 milioni di abitanti).
Ci si sarebbe aspettato, quindi, che, almeno le fasce più politicizzate della popolazione (ad esempio, quelle ascrivibili come “sinistra antagonista”) si mobilitassero contro una gestione dell’emergenza basata, ancora oggi, sul protocollo “Tachipirina e vigile attesa” e destinata a durare in eterno. Così non è stato, anche per il ruolo giocato in questa emergenza dai vaccini cubani sui quali è doveroso un, pur telegrafico, accenno.

La gestione dell’emergenza Covid a Cuba
Dotata di un ottimo sistema di medicina territoriale, Cuba, già dal 2020, aveva strutturato un capillare sistema di cure domiciliari che era riuscito a contenere la mortalità per Covid a pochissime unità al giorno. Probabilmente se questo sistema fosse stato perpetuato, Cuba, pur affamata da decenni di embargo, avrebbe potuto continuare a rappresentare un punto di riferimento oltre che per tantissimi sfruttati, per milioni di persone sempre più critiche verso una fallimentare e vessatoria gestione dell’emergenza Covid.
Così, purtroppo, non è stato e, anzi, oggi Cuba è diventata un cavallo di battaglia per il mainstream, che inneggia alla campagna vaccinale di massa lì realizzata (che ha coinvolto anche i bambini sopra i due anni); al pari di tanti militanti della “sinistra antagonista” ridottisi, in alcuni casi, a fare i piazzisti in Italia dei vaccini cubani.
La gestione dell’emergenza Covid a Cuba presenta aspetti non chiari anche perché non è dato sapere perché mai il governo cubano abbia ignorato l’esistenza del vaccino russo o cinese, dirottando ingenti risorse del comparto sanitario per produrre un vaccino nazionale. Probabilmente si illudeva di poterlo vendere ad altri paesi (cosa al momento problematica considerando la mancata autorizzazione dell’OMS) o si è trattato di una trovata meramente propagandistica del governo de l’Avana. Comunque sia, con il bassissimo tasso di mortalità del Covid garantito dal sistema di cure domiciliari è evidente che fossero davvero in pochi i cubani disposti a sottoporsi a vaccino. Forse per questo, dal fine maggio 2021, dopo una martellante campagna stampa contro improbabili turisti russi che avevano portato nell’isola caraibica la variante Delta del virus Sars Cov 2, le autorità cubane hanno cominciato a diffondere dati (che riteniamo abbiano la stessa attendibilità di quelli periodicamente diffusi dalle autorità italiane) sempre più allarmanti su un numero crescente di “contagiati” e “morti per Covid”.
Questo, indubbiamente, è servito a garantire il successo di una campagna vaccinale che, guarda caso, doveva partire proprio allora e che, in un mese, ha coinvolto il 93% dei cubani a partire dai due anni di età. Miracolosamente, dopo appena un mese dall’inizio della campagna vaccinale, i dati governativi hanno mostrato (vedi tabella) un crollo dei morti così repentino e incomparabile con quello di altre campagne vaccinali, da apparire sospetto. Comunque sia, per il governo cubano questo risultato è merito dei vaccini che avrebbero addirittura azzerato la mortalità per Covid e ridotto a pochissimi casi i contagi. A questo punto, non si capisce il perché, il 7 gennaio 2022, dall’Italia sia partita per Cuba una nave di aiuti, forniti dalla CGIL “per il personale impegnato nei reparti Covid dei centri sanitari più bisognosi”.
Francesco Santoianni

PS

Mi scuso se in questo testo (che, per una serie di motivi ho dovuto scrivere frettolosamente) non sono riportate esperienze significative quali, ad esempio, quelle di numerosi paesi africani, dell’India, della Svezia (che, per la sua gestione non terroristica dell’emergenza Covid, ha subito l’estromissione del suo vaccino Astrazeneca, non certo meno sicuro dei vaccini a mRna), di San Marino…. Spero di poterlo fare al più presto nel paper che certamente sarà pubblicato anche nel sito www.covid19-bastapaura.it. Se qualcuno comunque volesse compiutamente documentarsi sulla gestione dell’emergenza Covid, segnalo il libro (al quale ho collaborato) del Prof. Giulio Tarro “Emergenza Covid: dal lockdown alla vaccinazione di massa. Cosa, invece, si sarebbe potuto – e si può ancora – fare” e due miei libri inerenti anche il Covid: “Disaster management – Dalle oche del Campidoglio al Grande Reset: come salvare o distruggere una società” e “Fake news: guida per smascherarle”

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